venerdì 13 gennaio 2017

Andiamo ad armeggiare: si salpa (franco zennaro)

Se gli esiti scolastici sono stati per me assai modesti, tuttavia da giovane studente passavo l’estate in un luogo che nella mia memoria ha ormai assunto la fisionomia di un mito: l’Argentario. In quel tratto che va dall’isola del Giglio al Parco dell’Uccellina, ho scoperto che le mie mani, oltre a servirmi per i quotidiani adempimenti erano in grado di governare una barca a vela, lottare con l’impeto degli elementi o scegliere una caletta per farmi coccolare con una dolcezza ed una potenza, che solo il mare, nel suo essere perennemente irripetibile, ha potuto donarmi. Quella wunderkammer che ricorda una versione bonsai del golfo di Napoli, città amata da Liszt, mi ha permesso di scoprire la furia del vento, di osservare da vicino le meraviglie nascoste nei suoi fondali, di assistere con stupore imbambolato ad una straordinaria migrazione di meduse che si esibivano in una magica coreografia e di rimanere, appena doppiato Talamone, impietrito, di fronte al più irripetibile ed inaspettato dei concerti ; un coro infinito di grilli e cicale. Mi ha insegnato, e per questo le sarò sempre grato, che quando si naviga non esiste differenza tra un natante a motore o a vela, ma esiste il diritto della navigazione. E che in mare, accompagnati dalla sua divina mutevolezza, è buona norma salutarsi sempre e che chiunque dovesse trovarsi in difficoltà, sia esso ricco o povero, bianco o nero, va sempre soccorso. In questo siamo tutti ospiti e tutti uguali. Devo dire che Paperini 33 non sta in un bel pontile, e questo rende la compagnia spesso riottosa, ma a me interessa riuscire a far condividere quella sensazione di libertà inclusiva, non saprei definirla in modo migliore, che percepisco ogni volta che mi allontano dalla terra ferma. Complicità analoga riesco a riviverla, se pur con sensazioni meno istintuali, allorché mi trovo ad osservare un dipinto o una scultura. Posso apprezzare i musei, le collezioni, i monumenti, le Chiese, i parchi ma non vorrei essere frainteso: si tende a replicare il tutto o una parte del tutto tanto per fede quanto per magnificenza. Tuttavia prevale la meravigliosa condizione dell’artefatto. Nel corso dell’evoluzione abbiamo imparato che la nostra dimora è un luogo elettivo. Ma nel mio continuo girovagare, mi sento più vicino ad un paguro bernardo che ad un bipede della specie dell’homo sapiens. Mi adatto al posto e poi cerco di renderlo il più possibile vicino alla mie sensibilità, alle mie allucinazioni. Devo portare la barchetta al rimessaggio e ho l’opportunità di rileggere un sacca piena di libri che mi hanno permesso di intraprendere proprio questo viaggio. Inizierò da quello che mi regalò Mirella: c’erano tante figure e qualche breve riflessione sulle arti.

martedì 13 dicembre 2016

Diario di bordo (di franco zennaro)

Quando si affrontano nuovi percorsi si dovrebbe, anche nel presentarsi di circostanze differenti, agire con la massima elasticità di spirito: non sempre ciò che ci piace è bello in sé, più spesso è scomodo, ci irrita, ci provoca, ci spaventa altre volte è brutto. Quando siamo partiti per questo viaggio fin da subito ho sentito il bisogno di confrontarmi e quindi di non ritrovarmi solo durante il pellegrinaggio intorno a Liszt. E così mi sono immaginato le molteplici occasioni in cui mi sarei trovato e i tanti personaggi che avrei incontrato da suo contemporaneo. Ad un certo punto però, ho percepito i limiti della mia investigazione e ho provato ad immaginare con quali personalità del mio tempo mi sarebbe piaciuto viaggiare. Così ho deciso di rivolgermi ad alcune persone che, se pur timorate dell’argomento Liszt, magari con più che fondate questioni di natura estetica o storica, hanno comunque ben volentieri accettato di discuterne. Mi piace così ricordare l’affettuosa disponibilità di Giovanni Narici, cui sono legato da sincera amicizia, e del quale, seppur indirettamente, ho seguito la nascita del nipote. E che dire di Guido Ferrantelli col quale, da quando ci siamo incontrati, quasi trent’anni fa, abbiamo avuto modo di vivere anche fatti personali che ci hanno legato ancora di più. O di Bruno Manfellotto, conosciuto tanti anni fa quando l’Espresso stava in via Po, ma che riscoprii in seguito, televisivamente parlando, ospite di una nota trasmissione de La7, sempre gentile e garbato: una rarità. Claudio Strinati invece è conoscenza piuttosto recente, incontrato ad una conferenza dove, in attesa del suo intervento, approfittai per accennargli ad un progetto musicale incentrato su una narrazione simile a quella di cui ora parliamo. Col tempo abbiamo avuto modo di sondare meglio le nostre conoscenze, scoprendo così anche gusti simili. Un giorno ritrovai il telefono di una cara persona e le chiesi la cortesia di mettermi in contatto con suo padre e così, malgrado una certa ritrosia – di natura esclusivamente musicale – conobbi Gioacchino Lanza Tomasi. Insieme a lui ho potuto ricordare la Sicilia, nella quale ebbi la fortuna di lavorare, ma anche la sirena, uno dei racconti dell’autore del Gattopardo. Film che scoprii, ancor prima del romanzo, noleggiandolo una pellicola in 8mm che, se pur tutta rovinata, manteneva intatta il suo inebriante profumo.


Sono ancora tanti gli approdi da raccontare, ma queste sono tra le tappe principali